Una delle più singolari ville venete, circondata da un giardino all’italiana, progettata dal veronese Dario Varotari e realizzata probabilmente nel 1578.
Sulla piccola altura euganea del Mottolo alla Montecchia si erge, al centro di un giardino all’italiana, una delle più singolari ville venete, Villa Capodilista. Progettata dal veronese Dario Varotari (1539-1596) e realizzata probabilmente nel 1578, è un edificio a pianta quadrata, con ripartizione a croce delle singole stanze, in cui i quattro prospetti sono perfettamente identici tra loro. Staccandosi dal consueto tipo veneto, rivela la genialità, la sensibilità e l’estro pittorico del progettista che studia ogni arcata delle logge e le singole finestre in modo tale da inquadrare scorci panoramici stupendi con quinte costituite da alberi isolati o a gruppo e dallo sfondo dei colli Euganei e delle Alpi.
Le logge, sia quelle terrene che le superiori, fino al secolo scorso giravano completamente intorno all’edificio, offrendo la possibilità di una passeggiata coperta altamente suggestiva. Il concetto ispiratore era quello antico del chiostro ma con una disposizione diametralmente opposta, ossia aperto verso l’esterno. Il Varotari, che aveva già lavorato come pittore nella vicina Abbazia di Praglia, si occupò anche della decorazione pittorica della villa giovandosi della collaborazione di Antonio Vassillacchi detto l’Aliense (1556-1629). L’attribuzione delle grottesche della loggia di mezzogiorno non è stata ancora definita: l’alta qualità stilistica farebbe ipotizzare l’intervento di uno specialista in contatto con la scuola romana o vicino a Giovanni da Udine. Delle quattro stanze al pian terreno, le più interessanti sono, opera del Varotari, la “camera della vigna” il cui soffitto è affrescato con amorini che si arrampicano su di un pergolato ricchissimo di grappoli e foglie e la “camera delle ville” (nome riferito alle vedute che riproducono le ville possedute dai Capodilista) con una scena allegorica che mostra il Tempo e la Virtù che scaccia il vizio. La villa è stata restaurata negli anni Sessanta a cura di Mario Botter anche autore della pregevole monografia.
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